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L'OPERAZIONE BARBAROSSA

LA TENTATA CONQUISTA DELL'URSS

Prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, Russia e Germania firmarono un patto di non aggressione, di nome “Molotov-Von Ribbentrop”. Fu stipulato a Mosca il 3 agosto del 1939. Stabiliva che la Polonia, che aveva riguadagnato la sua indipendenza nel novembre del 1918 (quindi subito dopo l’uscita dell’Urss dal conflitto mondiale) sarebbe stata divisa in due parti: quella orientale sarebbe diventata russa e quella occidentale sarebbe entrata a far parte della Germania), la Finlandia ed i paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) sarebbero entrati a far parte dell’Unione Sovietica.

 

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L’espansionismo nazista, che puntava prima a conquistare i territori di lingua tedesca e poi il resto dell’Europa occidentale ed orientale, venne arrestato durante l’Operazione Barbarossa, un’azione militare sul fronte orientale, la quale avrebbe dovuto segnare la conquista dell’URSS.

Hitler riuscì ad invadere inizialmente la Russia (tra giugno e settembre del ‘41) sfruttando la tecnica della “guerra lampo”, basata su bombardamenti aerei (principalmente con Junkers Ju 87, soprannominati “Stuka”) ed artiglieria, che avrebbero dovuto spianare la strada a fanteria, corpi corazzati e corpi motorizzati. Il secondo obiettivo sarebbe stato isolare le unità più deboli ed eliminarle, per poi arrivare ai battaglioni più resistenti

 

Desideravano impadronirsi di questi territori (a quel tempo comunisti) per toglierli dall’“oppressione sovietica” (i bolscevichi erano considerati dai nazisti sub-umani ed il male del globo, come ebrei, zingari e omosessuali). Fu un grande azzardo, a causa dell'errore fatale compiuto: decisero infatti di iniziare l’operazione il 22 giugno. Essa cominciò quindi durante l’estate

Il problema più grave fu che, dato che questa stagione dura estremamente poco in URSS, l’inverno arrivò prima del previsto. A causa del freddo glaciale, dell’equipaggiamento fornito ai militari (avevano una giacca abbastanza leggera, le suole degli stivali in cartone e neanche le ciaspole), che non proteggeva dalle temperature estreme di tale regione, l’avanzata venne resa molto più difficoltosa.

 

In tutto ciò, le armate tedesche erano supportate dai reparti dell’ARMIR (fu un’unità del Regio Esercito, al comando del generale Italo Gariboldi, che nella prima guerra mondiale combatté nella battaglia di Vittorio Veneto e nella seconda sul fronte orientale, supportando le forze tedesche della Wehrmacht impegnate sul fronte di Stalingrado), dagli ungheresi e dai rumeni, i quali ricevettero lo stesso trattamento riservato ai nazisti.

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Le truppe (composte da 3.500.000 uomini, 3.300 carri armati, 600.000 veicoli motorizzati, 625.000 unità di cavalleria e 2770 aerei) si divisero poi in tre gruppi d’armate: una si diresse a Leningrado, la seconda a Mosca e l’ultima a Stalingrado. I sovietici erano impreparati (anche se avevano 4.700.000 soldati, circa 20 corpi corazzati e numerosi velivoli Polikarpov I-16, i quali erano ormai antiquati). Grazie ad atti di valore e di immane sforzo, riuscirono a bloccare il nemico soltanto a pochi chilometri dalle città. Iniziò una lunga e logorante guerra di posizione, la quale diventava sempre peggiore man mano che il fronte veniva modificato.

 

La tecnica della terra bruciata (una strategia bellica che veniva solitamente adoperata durante una ritirata, tramite la quale venivano distrutti tutti gli approvvigionamenti e le risorse sul percorso compiuto) divenne determinante per la futura vincita dei russi. Dopo molti mesi passati nelle trincee, i nazifascisti cominciarono a battere ritirata, inconsapevoli che i bolscevichi avevano messo in atto l’Operazione Urano: erano infatti appostati alle loro spalle, in modo tale da creare una “sacca” in cui li avrebbero trattenuti. I comunisti passarono quindi al contrattacco, con divisioni armate provenienti dalla zona del Caucaso e dalla zona nord-orientale della Scandinavia. Impiegarono una potenza militare enorme, in modo tale da respingere una volta per tutte i nazisti. 

Durante la ritirata, molti italiani divennero dei prigionieri di guerra. Rimasero fino agli anni cinquanta nei gulag, dove erano costretti ai lavori forzati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chi invece riuscì a scappare dalle mani dell’Armata Rossa tornò con arti amputati a causa del congelamento. Tutt’ora in Russia si festeggia la liberazione di Stalingrado il 27 gennaio e la Giornata della Vittoria il 9 maggio, in cui si celebra la vittoria della Grande Guerra Patriottica (nome che i Russi hanno attribuito al secondo conflitto mondiale, stando ad indicare il loro trionfo).

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Prigionieri di guerra in un gulag.

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Fotografia scattata dopo la firma del patto "Molotov-Von Ribbentrop".

La marcia nel freddo glaciale della Siberia.

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